Il braccio da 40 m della gru mi passa sopra la testa, con attaccato una branca da 35 quintali. Il cielo è nuvoloso e sembra venga a piovere da un momento all’altro. I rami sono appoggiati nel campo, dove la vecchia quercia bianca ha vigilato per anni sullo scorrere del tempo, l’erba del campo è grassa e soffice e cresce su un terreno morbido e scuro, dove finisce, il campo inizia il bosco che esplode di colori autunnali in pieno contrasto con il cielo grigio del novembre del New Jersey.
Le foglie rosse e porpora delle querce, il giallo acceso e vibrante dei Liriodendri,il verde spento dei faggi americani, e il vento che tira carico dell’odore della pioggia mi fanno tornare alla memoria la citazione di un personaggio di Hemingway quando dice che l’autunno è il periodo più bello dell’anno. Come i tronchi arrivano a terra tocca a me, accendo la 361 sthil che ho fra le mani e comincio a sezionare in porzioni di circa tre metri i grandi rami che gli altri operai vanno a liberare dalle corde annodate che li mantenevano legati e bilanciati al gancio della gru. Devo essere rapido e accorto perché come tutti gli arborist sanno i rami delle querce, sono contorti e quando li tagli, possono girare e venirti addosso. Non sarebbe un lavoro difficile se non mi vedessi arrivare contro, ogni volta un mezzo cingolato a tutta velocità con la sua pinza pronta ad agganciare i pezzi e tirarli via e lo sarebbe ancora meno se sopra non ci fosse un “ sergente maggiore” che ti urla dove tagliare e di muovere il culo. Rob, manovra il Boxer (il cingolato con pinza per movimentare i tronchi), con precisione millimetrica e furia omicida allo stesso tempo. Fortunatamente che non sono un principiante in questo lavoro, perché per un novellino che taglia i tronchi a terra sotto le urla di Rob, la vita non deve essere facile.
Il lavoro è per conto della compagnia elettrica, ogni anno la ditta ASPEN, mantiene gli alberi lungo le linee di alta tensione che attraversano i boschi del New Jersey per centinaia di miglia. In alto che volteggia, trai rami che svettano oltre i 40 metri, c’è Mark Chisholm, lavora alternando il lavoro di legatura dei pezzi e di taglio ora usando la piattaforma aerea, ora la corda che ancora al braccio della gru o all’albero stesso, come durante i corsi di formazione che ho seguito sotto la sua guida. Come sempre è preciso, rapido ed elegante.
Stefano comunica con Mark, via radio, e lo aiuta a stimare i pezzi, ogni tanto mi chiama per farmi vedere il display della gru mostrandomi le forze in gioco che lo schermo visualizza.
Alla fine della giornata tutto l’albero è a terra, vado verso Mark per congratularmi del lavoro svolto ma sul suo volto c’è amarezza e a un tratto realizzo anch’io quanto era grande e antico l’albero, Stefano mi spiega che Mark ha contrattato per oltre tre mesi per evitare quest’abbattimento, con la compagnia elettrica proponendo di ridurlo alleggerirlo e monitorarlo e richiedendo altri esami di stabilità. Quando l’esame rivelò che la base della pianta era completamente cava tanto da rendere instabile tutto l’albero, si capì che i rischi erano troppo alti, poco dietro alla quercia campionessa, passa un’autostrada e di fianco ci sono le linee dell’alta tensione, lo staff ha decretato la fine della quercia. Mi sono sentito allo stesso tempo onorato di aver vissuto un momento storico non solo di questa pianta ma anche di questo paese ma al tempo stesso di essere parte di un’umanità le cui vicissitudini sono così severe con la natura. Paradossalmente ho rappresentato in carne e ossa l’ennesimo europeo che è venuto dall’altra parte dell’oceano per abbattere un albero nel novo mondo. Stavo assistendo alla fine di un albero che era già venerabile quando i primi occidentali misero piede in queste vaste terre ancor oggi boscose e popolate di cervi e di oche. Mi chiedo se sotto non si sedevano i nativi che cacciavano nei boschi circostanti. Eppure rimane immutato il volo degli avvoltoi che stridono in alto il loro richiamo segnando cerchi nel cielo.